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Le dieci mosse per rilanciare le Pmi

di Riccardo Ferrazza e Marco Mobili

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21 Ottobre 2009

Sono piccole ma cresceranno. Ne sono sicuri da tempo a Bruxelles e ora quel credo è giunto fino a Roma. Attesa da mesi, auspicata da chi era in debito di ossigeno per le difficoltà imposte dal nostro sistema e infine invocata di fronte al moltiplicarsi delle asperità causate dalla crisi, è arrivata la cura ricostituente per sostenere il tessuto produttivo italiano, caratterizzato dalle centinaia di migliaia di micro-imprese. Sarà presentato al Consiglio dei ministri di venerdì il documento che, in dieci punti, declina in italiano il motto della Commissione europea "Think small first" che dalle nostre parti – con il 98,1% delle imprese che ha meno di 20 addetti – andrebbe mandato a memoria.

«Le Pmi al primo posto» è la richiesta che viene dall'Europa. Una sollecitazione alla quale l'Italia risponde con una ricetta chiara: fare rete per crescere. Un principio intorno al quale ruotano le misure che vanno dalle semplificazioni procedurali, alla riduzione dei costi amministrativi di almeno il 25%, passando per l'aumento degli aiuti di stato, la massima apertura dei mercati e pieno sostegno allo sviluppo delle Pmi. Il tutto senza dimenticare il delicato snodo dell'accesso al credito per le Pmi. Su queste linee si muove la direttiva del presidente del Consiglio dei ministri che dà attuazione ai dieci punti del "Small business act", la comunicazione della Commissione europea risalente al giugno 2008 ispirata al principio del "pensare anzitutto in piccolo" per sollecitare gli stati membri ad attivare azioni e proposte politiche tali da sostenere le Pmi, siano esse "rosa" (a conduzione femminile) o d'imprenditori extra-comunitari. Il ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola aveva illustrato l'attuazione di quei precetti (frutto di sei tavoli tematici con le associazioni di categoria) ai colleghi di governo a inizio settembre; dopodomani il documento arriva alla riunione di governo. Una cura ricostituente che ha anche l'obiettivo di sostenere le imprese ad affrontare l'attuale emergenza economica.

Al primo punto c'è dunque il pieno sviluppo del "contratto di rete". Che non va visto solo come strumento per l'utilizzo di economie di scala: serve soprattutto come mezzo di sviluppo per una nuova cultura delle Pmi che sappia operare in rete e non come somma di monadi produttive. Di fronte a una crisi che nei prossimi 10 anni potrebbe far lasciare l'attività ad almeno 6 milioni di piccoli imprenditori a livello europeo, l'azione del governo dovrà essere finalizzata al trasferimento d'impresa. Uno spin off, totale o parziale, che consenta a un'azienda in crisi di essere trasformata anche in cooperativa la cui proprietà verrebbe rilevata dagli stessi dipendenti.

Oggi una seconda possibilità, per chi chiude, il più delle volte non è il solo mercato a negarla. Sono le regole stesse sui fallimenti a negare ogni chance di rientro, almeno agli imprenditori onesti in stato d'insolvenza. Per questo da Palazzo Chigi si chiede la piena attuazione delle misure del decreto anticrisi sulla ristrutturazione dei debiti, accompagnato da regole nuove e di protezione, dall'esenzione delle revoche al blocco delle azioni esecutive individuali. Non si esclude la possibilità d'intervenire sui reati fallimentari, ancorati a una disciplina del lontano '42. Per le imprese in concordato preventivo va superato (anche con una sua cancellazione) il blocco alla partecipazione nelle gare per appalti pubblici o il divieto a prendere parte alle erogazioni finanziarie.

Al di là poi del ruolo importante che viene assegnato anche a una legiferazione e a una produzione delle regole più organiche e condivise con le associazioni delle Pmi, la direttiva pone l'accento sulla necessità di ridurre i costi amministrativi delle imprese. Lo strumento c'è ma è fermo al palo: lo sportello unico per le attività produttive attende ancora l'attuazione.

Determinante anche un accesso meno rigido agli appalti pubblici. E qui un alleato i "piccoli" potrebbero trovarlo nelle tecnologie con la possibilità di presentare le offerte attraverso il mercato elettronico della Pa o passando per la Consip. Il risultato: ottimizzazione dei costi di partecipazione alle gare e abbattimento degli steccati creati spesso dalle dimensioni aziendali e dalla loro localizzazione.

Un capitolo a parte merita l'attuazione del sesto punto del piano strategico di Bruxelles: l'accesso al credito ma in un contesto dove i ritardi nei pagamenti delle transazioni siano un'eccezione e non la regola. In questo senso Palazzo Chigi raccomanda una verifica delle misure già adottate come il Fondo di garanzia per le Pmi. Di più: una sua stabilizzazione che trasformi il fondo in un'«infrastruttura di sistema» per facilitare il dialogo imprese-banche. Altre carte: microcredito e programmi creditizi per supplire alla mancanza di finanziamenti tra i 75mila e il milione di euro.

Il mercato unico è un'opportunità alla quale le imprese più piccole non sempre riescono ad attingere: occorre aiutarle – è il settimo punto – per facilitare il loro accesso a brevetti e modelli depositati. C'è poi l'esigenza d'integrare le Pmi nella comunità della ricerca e avvicinarle al mondo universitario, cui troppo spesso rimangono estranee. La soluzione prospettata nell'ottavo punto è quella di strumenti automatici di agevolazione alla ricerca e all'innovazione e voucher individuali per imprenditori. Il microcredito torna qui come alleato delle Pmi, scoraggiate dalla complessità e dai costi delle procedure per i brevetti. Ricco il capitolo (il penultimo) della politica energetica, che parte dall'esigenza di liberalizzare i mercati con la separazione proprietaria tra gestore della rete e operatore, passando per la perequazione fiscale sul consumo di energia elettrica che penalizza le strutture produttive di minori dimensioni. Le Pmi vanno, infine, sostenute nelle loro avventure extra-Ue: il decimo punto annuncia incentivi per chi assume personale specializzato nel commercio internazionale.

21 Ottobre 2009
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